La trama di per sé si presentava bene e lo stile è quello che ti spinge a continuare a girare pagina per vedere cosa succede dopo. Ma dopo le prime 100 pagine mi sono resa conto che c’era qualcosa che non mi tornava. All’inizio avevo dato colpa all’edizione, che di pecche ne ha parecchie, e soprattutto alla traduzione, talvolta esageratamente fedele all’originale tanto da dare luogo ad espressioni che di italiano hanno ben poco. Retrotraducendo mentalmente certe frasi, già dalle prime pagine, però mi rendevo conto che probabilmente le stesse frasi nella lingua originale parevano sicuramente meno strane e probabilmente funzionavano. C’è da dire a questo proposito che l’inglese si presta di per sé ad un linguaggio più immediato di quanto non faccia l’italiano. Con questo intendo che un’espressione scarna e immediata può funzionare benissimo nell’inglese scritto, mentre non si può sempre dire altrettanto dell’italiano. In ogni caso si trattava di problemi minori. Uno stile semplice e di rapida lettura è sicuramente adatto ad un romanzo di fantascienza, in cui altri aspetti fanno la parte del leone. Il problema sorge quando questi aspetti iniziano a venire meno.La narrazione è semplice e a tratti accattivamente, l’argomento di sicuro stimola l’immaginazione (il poter ringiovanire e in pratica rivivere da capo la vita da adulto), l’aspetto sentimentale della storia come pure quello (pseudo?) etico probabilmente può attrarre molti lettori, soprattutto quelli che cercano un tipo di romanzo in cui quello (fanta)scientifico non sia necessariamente l’argomento centrale e magari normalmente leggono tutt’altro. Ma se chi si avvicina a quest’opera è un lettore che legge i romanzi di fantascienza, perché parlano essenzialmente di finzione scientifica, allora c’è il rischio che storca un po’ il naso. I motivi sono tanti e provo ad elencarli man mano che mi vengono in mente. I più palesi sono l’eccessiva ingombranza di due argomenti nel testo, che tendono a lasciare ben poco spazio ad altro.Il primo è l’etica o la bioetica. L’autore, soprattutto nella parte centrale, spezza continuamente la già lenta azione, lanciandosi, tramite il dialogo dei protagonisti, in disquisizioni di etica un po’ troppo pretenziosa per un romanzo di questo genere. Più di una volta sono stata colta da un certo senso di noia e dal desiderio di passare oltre per tornare all’azione vera e propria. Tutto questo perché se voglio leggere un testo che tratti di bioetica (ammesso che la cosa mi interessi e così non è) non acquisto di certo un romanzo di Urania. Il mio fastidio mi pare quindi assolutamente giustificato.
L’impressione che traggo dalla lettura è quella di un’opera abilmente costruita, buonista e in numerose parti sfacciatamente politically correct. In alcuni casi addirittura tali parti sono aggiunte, magari successivamente, tra parentesi, cosa che è un probabile segno di un intervento editoriale per rendere il prodotto appetibile per un pubblico più vasto, sebbene l’argomento di partenza fosse di per sé potenzialmente controverso. Il secondo elemento super-ingombrante è Star Trek. Abbiamo capito che l’autore è fan della saga, questo non significa che debba essere citata di continuo lungo tutto il testo, anche perché non tutti conoscono Star Trek a menadito e possono apprezzare certe cose, sebbene si tratti di fan del genere fantascientifico. Probabilmente i trekker si saranno divertiti nel ritrovare tutte queste citazioni. Io dopo un po’ mi sono stufata. Al di là di questi due aspetti, che, volendo, si possono ignorare (con un po’ di sforzo), il problema di fondo è che praticamente non c’è altro.La trama è staticissima. Quasi tutta la storia si svolge a casa dei protagonisti. Nessuno dei mille possibili intrecci che potevano scaturire della premessa del libro (cioè il ringiovanimento del protagonista maschile) è stato sviluppato. Il protagonista maschile, Don, che passa dagli 87 ai 25 anni, praticamente non fa nulla oltre che citare Star Trek o altri film/serie fantascientifiche e giocare a Scarabeo. E ovviamente “fottere come un riccio”, citando dal libro (stendiamo un velo pietoso sull’uso di un linguaggio così volgare posto candidamente accanto alla pretesa di affrontare seriamente certi temi etici). Questo personaggio pare praticamente non avere alcun altro interesse e non si sa bene come passi il tempo.
Il punto è che il personaggio in sé, per quanto sia quello principalmente seguito dalla storia, appare privo si spessore, insieme a quello della moglie, Sarah, con cui è completamente interscambiabile. I due protagonisti sembrano pensare allo stesso modo, come se non fossero distinti. Gli altri personaggi sono appena delineati e quello (Leonore) che viene appena un poco più approfondito finisce per ricadere nello stesso personaggio base Don/Sarah. L’unico che si stacca da questa tendenza è il robot, che a mio parere è il personaggio migliore. Non pare forzato e progettato al tavolino come gli altri, ma spontaneo e realistico. È più umano degli umani, che per un robot forse non è il massimo. E, diciamocelo, è pure il più simpatico. Nel frattempo la storia si sposta sempre più dalla fantascienza (il messaggio alieno passa in secondo piano) al romanzo sentimentale, degno del peggiore degli harmony. L’azione è lentissima: accade poco o nulla. I pochi avvenimenti iniziano a diventare sempre più fastidiosamente prevedibili e il finale teoricamente lacrimevole è talmente surreale che non riesce neppure in questo intento.Certamente il libro si lascia leggere senza troppe difficoltà (a parte i due ingombri sopra citati), alla fine, però, hai come l’impressione che l’autore abbia semplicemente fatto bene il suo compitino e niente più di questo.
- Rollback di Robert J. Sawyer (2007). Urania n. 1563, 2010.
- Articolo uscito originariamente su Anakina.Blog il 4/2/2011.